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Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

I soggetti aggregatori non possono aggregare

a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.

Che ci stanno a fare i soggetti aggregatori della domanda pubblica di beni e servizi se non possono aggregare? Concentrare la domanda in nome della spending review è illegittimo e gli appalti devono essere suddivisi in “lotti funzionali”, a tutela delle PMI. Lo sancisce il Consiglio di Stato.

La schizofrenia normativa – più volte da noi denunciata – tra leggi sempre più stringenti che prevedono la concentrazione degli acquisti e altrettante che, in nome della tutela delle PMI, la vietano, emerge in tutta evidenza dopo la sentenza del Cons. di Stato n. 5224 del 13/11/2017, giudicato che va a dirimente precedenti decisioni contrastanti emesse da Tribunali amministrativi regionali. Il pronunciamento del C.di S. riguarda una procedura di gara indetta dal Soggetto aggregatore Intercent – Er dell’Emilia Romagna finalizzata alla stipula di una convenzione quadro per l’affidamento del servizio di pulizia, igiene ambientale e altri servizi per le Aziende Sanitarie USL di Imola Parma e Piacenza, l’Azienda Ospedaliera di Parma e di Modena e Istituto Ortopedico Rizzoli. Intercenter ha suddiviso l’appalto in lotti su base macro-territoriale accorpando diverse aziende e presidi ospedalieri.

La gara è stata bandita in prossimità dell’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti (D.Lgs. n. 50/2106), ma per effetto della data di pubblicazione del bando sulla GUCE, antecedente tale entrata in vigore, il regime normativo da applicare al provvedimento è quello del vecchio Codice (D.Lgs. n. 163/2006). Ciò rende ancora più significativo il pronunciamento del massimo consesso giudicante, posto che il vecchio Codice era meno restrittivo di quello nuovo in materia di tutela delle PMI. Subordinava infatti la suddivisione dell’appalto in lotti funzionali “ove possibile ed economicamente conveniente”, riserva poi non prevista dal D.Lgs. n. 50/2016. Il C.di S. sposa le tesi delle imprese ricorrenti, in ordine al dimensionamento dei lotti e ai criteri economici di accesso , tali da inibire la partecipazione alla gara delle PMI. I precedenti pronunciamenti giurisprudenziali vedevano contrapposti il Tar Lazio e il Tar Toscana.

Secondo i giudici del TAR Lazio la disciplina previgente il nuovo Codice, estremamente centrata sull’obiettivo di contenere la spesa pubblica, privilegiava l’aggregazione dell’acquisto da parte dei soggetti tenuti al rispetto dell’evidenza pubblica, mentre oggi la situazione si sarebbe ribaltata e la direttiva 2014/24/UE, tra i suoi considerando, evidenzierebbe in particolare che le previgenti direttive vanno riviste ed aggiornate per facilitare in particolare la partecipazione delle piccole e medie imprese agli appalti pubblici. La direttiva, in sostanza, vedrebbe gli appalti pubblici come un importante motore di crescita dell’economia europea, che si può realizzare solo per mezzo dell’ampliamento della partecipazione delle piccole e medie imprese al mercato dei contratti pubblici. Il nuovo codice seguirebbe le indicazioni comunitarie e disegnerebbe un sistema di gare pubbliche estremamente inclusivo: in particolare, occorrerebbe riferirsi agli artt. 30 (Principi per l’aggiudicazione e l’esecuzione di appakti e concessioni), 51 (Suddivisione in lotti) e 83 (Criteri di selezione), tutti violati – secondo il TAR Lazio – dagli atti impugnati, ancorchè le forniture siano state articolate in più lotti. Di dimensioni e configurazioni tali, però, da limitare comunque le possibilità di partecipazione delle PMI , con conseguente mancato rispetto del principio comunitario della tutela della concorrenza. Un posizionamento della domanda che favorisce la partecipazione agli appalti pubblici delle PMI rappresenterebbe per l’appunto la declinazione del principi comunitari di libera concorrenza, , non discriminazione, trasparenza, proporzionalità. Con la massima partecipazione si otterrebbe anche il massimo risultato competitivo, anche nell’interesse della stazione appaltante.

Con due sentenze in successione ( n. 9441/2016 e 1345/2017) il TAR Lazio-Roma ha quindi sancito l’illeggittimità rispettivamente di una procedura per l’affidamento di servizi integrati di vigilanza bandita dalla Consip e una gara per l’affidamento dei servizi in global service nei nidi, nelle scuole dell’infanzia, nei servizi integrativi e nelle scuole d’arte e dei mestieri di Roma Capitale. Eppure, l’appalto Consip era stato peceduto da una approfondita istruttoria sulla connotazione del mercato di rifermento e sulla quota di fatturato assorbita, assolutamente minoritaria già nel solo mercato pubblico (30%), tanto da ottenere per la procedura il nulla-osta dell’Antitrust, non essendo preclusa, tra l’altro, il ricorso agli istituti del raggruppamento temporaneo di imprese e dell’avvalimento. Sul punto, il Tar Lazio osserva, in primo luogo, che la costituzione di un Raggruppamento Temporaneo di Imprese o il ricorso all’avvalimento sono il frutto di scelte discrezionali di tutte le imprese coinvolte, per le quali non è sufficiente la volontà della piccola o media impresa che intende partecipare alla gara, essendo necessaria anche una coincidente volontà delle altre imprese nella costituzione dell’eventuale raggruppamento e dell’impresa o delle imprese ausiliarie nell’avvalimento. Pertanto, l’astratta possibilità di costituire un RTI o di ricorrere all’avvalimento non esclude che una preclusione alla possibile partecipazione individuale dell’impresa si concreti in un vulnus al principio del favor partecipationis e, quindi, in una lesione sia alla sfera giuridica dell’impresa che non può partecipare individualmente sia alle finalità pubblicistiche a base della normativa in materia.

Di segno opposto la sentenza del TAR Toscana – Firenze n. 1755/2016  che, nel decidere il ricorso avverso l’affidamento da parte dell’ESTAR della convenzione per la gestione del servizio e raccolta rifiuti sanitari di tutte le aziende sanitarie regionali (gara da oltre 49 milioni di euro, non suddivisa in lotti) giunge ad affermare che l’art. 51 D.Lgs.n. 50/2016 non pone il principio della suddivisione in lotti in termini assoluti, ben prevedendo la possibilità anche di un unico lotto (se adeguatamente motivata). Inoltre, sovraordinata alla normativa sugli appalti vi sarebbe quella emergenziale della cd. “Spending review”, che proprio partendo dalla finalità di razionalizzare e contenere la spesa pubblica ha introdotto l’obbligo di centralizzare gli acquisti. Se dunque si considera la necessità di ridurre la spesa come maggiormente rilevante rispetto al favor partecipationis, da ciò se consegue che la possibilità di ridurre l’importo d’aggiudicazione giustifica di per sé la mancata suddivisione in lotti della gara.

In particolare, il TAR Toscana osserva quanto segue: “L’art. 51 del d.lgs n. 50 del 2016 ha mantenuto e in parte rafforzato il principio della “suddivisione in lotti”, posto in essere “al fine di favorire l’accesso delle microimprese, piccole e medie imprese” alle gare pubbliche, già previsto dall’art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 163 del 2006. Deve tuttavia evidenziarsi che, anche nel nuovo regime, il principio non risulta posto in termini assoluti e inderogabili, giacché il medesimo art. 51, al comma 1, secondo periodo, afferma che “le stazioni appaltanti motivano la mancata suddivisione dell’appalto in lotti nel bando di gara o nella lettera d’invito e nella relazione unica di cui agli articoli 99 e 139”.

Il principio della “suddivisione in lotti” può dunque essere derogato, seppur attraverso una decisione che deve essere adeguatamente motivata; residua tuttavia la necessità di comprendere le indicazioni che l’ordinamento fornisca in ordine ai valori o interessi nel perseguimento dei quali la deroga può avvenire, giacché la regolamentazione procedimentale (obbligo di motivazione), pur significativa e importante, non copre lo spazio ancor più rilevante della legalità sostanziale e cioè della scelta del contemperamento degli interessi pubblici contrapposti. Risposta al quesito pare rinvenibile dall’esame della disciplina europea, di cui quella nazionale costituisce recepimento. Il <considerando> n. 78 della direttiva 2014/24/UE, occupandosi della questione, dopo aver posto in evidenza la necessità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare pubbliche e il correlato strumento della suddivisione in lotti, si occupa anche della possibile scelta della stazione appaltante di non procedere all’articolazione in lotti e, oltre a prevedere la necessità di motivazione, si spinge anche a considerare le possibili ragioni giustificative di una tale scelta: evidenzia quindi che “tali motivi potrebbero, per esempio, consistere nel fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ritiene che tale suddivisione possa rischiare di limitare la concorrenza o di rendere l’esecuzione dell’appalto eccessivamente difficile dal punto di vista tecnico o troppo costosa, ovvero che l’esigenza di coordinare i diversi operatori economici per i lotti possa rischiare seriamente di pregiudicare la corretta esecuzione dell’appalto”.

Tra gli interessi che possono essere valorizzati dalle stazioni appaltanti per non procedere alla suddivisione in lotti vi è dunque anche quello dei costi cui la suddivisone in lotti può condurre. Ecco che già a livello europeo compare la tensione tra i due contrapposti obiettivi costituiti, da un lato, dalla finalità di garantire la partecipazione delle PMI alle gare d’appalto, con conseguente loro suddivisione in lotti di importo limitato, e, dall’altro, della finalità di garantire razionalizzazione e contenimento della spesa attraverso la centralizzazione e aggregazione delle gare medesime. Ai fini della composizione dei suddetti contrapposti interessi assume rilievo, come dato di legislazione interna che consuma parte della scelta valutativa della stazione appaltante, la legislazione di c.d. spending review; viene in particolare in considerazione la disciplina di cui all’art. 9 del decreto-legge n. 66 del 2014, norma che, in relazione alla acquisizione di servizi specificamente individuati da parte di soggetti nominativamente indicati e al superarsi di soglie anch’esse specificamente fissate, impone l’aggregazione, centralizzando gli acquisti medesimi in <soggetti aggregatori> all’uopo creati.

Il DPCM 24 dicembre 2015 (in G.U. 9 febbraio 2016, n. 32), cui la norma primaria ha rimesso la disciplina applicativa, sottopone alle gare centralizzate, in chiara funzione di risparmio di spesa, l’affidamento dei “servizi di smaltimento rifiuti sanitari” di importo superiore a € 40.000,00. Si tratta di regolamentazione che, pur non escludendo in radice la suddivisione in lotti, effettua una selezione delle tipologie di gare per le quali l’obiettivo di aggregazione in funzione del contenimento dei costi e dell’ottenimento di economie di scala appare oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore.

Nel caso in esame il soggetto aggregatore, che ha indetto la gara ai sensi della richiamata disciplina di cui al decreto-legge n. 66 del 2014 e del DPCM del 24 dicembre 2015, ha correttamente motivato la scelta di non procedere alla suddivisione in lotti, statuendo che “la gara è impostata in unico lotto per ottenere economie di mercato, a fronte di tipologie di prestazioni uguali per tutta la Regione, come richiesto dalla mission di Estar dalla tipologia di gara ricompresa nell’elenco del DPCM 24/12/15, riservate ai soggetti aggregatori, considerando che l’attuale assetto di mercato, come evidenziato dal dialogo tecnico effettuato, non pregiudica la partecipazione alla gara”. Alla luce delle considerazioni sopra svolte e della normativa europea e interna richiamata si tratta di motivazione adeguata e idonea a rispondere all’obbligo di giustificazione di cui all’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016.

Parte ricorrente invoca anche la violazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 50 del 2016 e del principio di libera concorrenza ivi garantito, con l’effetto di dover ulteriormente scrutinare se la scelta del lotto unico effettuata nella gara in considerazione non rischi di pregiudicare un confronto concorrenziale adeguato e molteplice, ponendo le gare nelle mani di pochi operatori. Anche questo profilo di contestazione può essere respinto. Risulta infatti significativo che, pur in presenza di gara a lotto unico di importo assai notevole, i requisiti di fatturato richiesti per la partecipazione sono parametrati su importi non proibitivi e che lasciano aperta la possibilità di ampia partecipazione degli operatori economici del settore. Infatti il Disciplinare di gara prevede che gli operatori interessati devono aver svolto nel triennio servizi corrispondenti per importo di almeno € 8.500.000,00 e quindi per concorrere è necessario un fatturato medio annuo intorno a € 2.800.000,00, ammontare non particolarmente preclusivo alla concorrenza, se si tiene conto che i limiti dimensionali per qualificare un operatore economico come “piccola impresa” arriva fino a 10 milioni di euro di fatturato annuo, anche se congiunto a numero di dipendenti (DM Attività Produttive 18 aprile 2005).

D’altra parte gli operatori possono poi utilizzare tutto lo strumentario proprio del diritto degli appalti che consente anche ai più piccoli di accedere al mercato degli appalti pubblici (ATI, avvalimento)”.

Il Consiglio di Stato, come anticipato, si è espresso in senso pro-PMI, come segue: “(….) in linea generale, si deve osservare come la scelta della stazione appaltante circa la suddivisione in lotti di un appalto pubblico, costituisce una decisioni normalmente ancorata, nei limiti previsti dall’ordinamento, a valutazioni di carattere tecnico-economico. In tali ambiti, il concreto esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione circa la ripartizione dei lotti da conferire mediante gara pubblica deve essere funzionalmente coerente con il bilanciato complesso degli interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento di appalto e resta delimitato, oltre che dalle specifiche norme sopra ricordate del codice dei contratti, anche dai principi di proporzionalità e di ragionevolezza.

L’intero impianto dei lotti di una gara non deve dar luogo a violazioni sostanziali dei principi di libera concorrenza, di “par condicio”, di non-discriminazione e di trasparenza di cui all’art. 2 co. 1 d.lgs. n. 163 del 2006 e s.m.i. (cfr.: Consiglio di Stato sez. VI 12 settembre 2014 n. 4669; Cons. Stato, sez. V, 20 marzo 2007 n. 1331).

A corollario dell’effettività della regola generale, è quindi stata posta la previsione di un specifico obbligo di motivazione delle ragioni circa la divisione dei lotti proprio perché il precetto è in funzione della tutela della concorrenza, ed a tale situazione deve essere equiparata la previsione di lotti di importo spropositato e riferiti ad ambiti territorialmente incongrui.

Nel caso in esame la suddivisione in lotti di un appalto pubblico è dunque illegittima per la duplice violazione del principio della libera concorrenza sia in senso oggettivo che in senso soggettivo.

Quanto al profilo oggettivo non si ravvisano reali ragioni che possano giustificare la divisione in lotti nella misura stabilita dal bando in esame.

Nel caso non appaiono per nulla evidenti le ragioni per cui i lotti sono stati individuati come segue:
— lotto 1) del valore di 46.250.000 per i servizi di pulizia presso la USL di Piacenza e l’azienda ospedaliera di Modena;
— lotto 2) del valore di 24.300.000 per la USL di Imola e l’Istituto ortopedico Rizzoli;
— lotto 3) del valore di 44.400.000 per i servizi presso la USL Parma e l’Azienda Ospedaliera di Parma.

A tale riguardo non sono state opposte reali e convincenti ragioni per un tale singolare accorpamento che la Difesa dell’Agenzia genericamente ancora a ragioni di “perseguimento degli interessi rilevanti per la collettività” ovvero al fatto che gli enti interessati fossero stati amministrativamente ricompresi nell’ “Area Vasta Emilia Nord”.

Al riguardo appare del tutto singolare la giustificazione per cui il “soggetto aggregatore” deve “aggregare” gli appalti e non disgregarli, dato che la missione di Intercent è di aggregare la “domanda”, in senso macroeconomico, dei servizi da appaltare, e non di accorpare gli stessi per un unico esperimento.

Né per contro appare convincente il richiamo di Intercent a d una non meglio specificata “convenienza” dell’articolazione adottata, per la fondamentale ragione che gli appalti di pulizia sono caratterizzati da una struttura rigida dell’offerta dei concorrenti negli appalti di pulizie connessa al peso assolutamente prevalente del costo del personale, che non consente grandi economie di scala.

Dalla suddivisione dei lotti in questione emerge con chiarezza l’intento dell’Agenzia Regionale di coinvolgere il minor numero possibile di concorrenti con l’evidente finalità di facilitare l’espletamento della gara ed evitare la notoria proliferazione del contenzioso.

Al riguardo il Collegio non ignora le difficoltà di gestione di questa tipologia di procedimenti, causate dall’abnorme numero di partecipanti alle gare e da un tasso di litigiosità tale che qualche stazione appaltante è addirittura ricorsa, illegittimamente, al sorteggio come normale criterio di aggiudicazione.

Tuttavia l’esperienza storica di questi ultimi anni ha dato modo di constatare, sotto vari profili, che il ricorso ai maxi lotti per gli appalti di pulizie si è rivelato un rimedio forse peggio del male per la piaga dei ribassi talvolta molto incidenti sui margini operativi delle imprese.

Sotto il profilo del buon andamento e dell’efficienza dei servizi prestati, i grandi contratti hanno visto, nell’esperienza del recente passato, il ripetersi di situazioni incidenti negativamente sull’esecuzione in quanto la stessa complessità organizzativa delle prestazioni diffuse in un gran numero di immobili, comporta un naturale “allungamento della catena di comando” nella gestione dell’esecuzione dell’appalto. Non sono nemmeno mancati poi i casi nei quali l’affidatario del contratto era indotto a ripartire comunque le prestazioni tra un grande numero di subappaltatori (talvolta anche al di là dei limiti consentiti) con conseguenti gravi disservizi, proteste degli utenti e risoluzioni per grave negligenza nell’esecuzione contrattuale (a loro volta generatrici di ulteriore contenzioso in sede civile).
Inoltre, i grandi appalti sono facilmente permeabili a tentativi di corruzione diretti a determinare gli esiti delle gare, con la creazioni di “cartelli” e “sinergie” tra concorrenti o peggio ad infiltrazioni di imprese mafiose vere e proprie. Ed anche al di fuori di questi casi patologici, la partecipazione di poche grandi imprese comporta talvolta il rischio naturale di comportamenti compiacenti o anche solo di un eccessivo “fair play” tra i diversi concorrenti.

Per quanto invece concerne la violazione del principio di concorrenza in senso soggettivo si deve concordare con le imprese ricorrenti in primo grado quando affermano che, a causa della creazione di lotti sovradimensionati, si introducono ingiustificate preclusioni alla partecipazione alle gare da parte delle PMI del settore delle pulizie.”
Secondo il Consiglio di Stato, quindi, compito del Soggetto aggregatore è quello di “aggregare la “domanda”, in senso macroeconomico, dei servizi da appaltare, e non di accorpare gli stessi per un unico esperimento.”
Sul punto, non è chiaro quale debba essere a finalità di aggregare la domanda in senso macro-economico in materia di appalti pubblici da parte di soggetti preposti agli appalti, se poi questa aggregazione non è funzionale alla strutturazione degli appalti stessi.

Al contrario, la centralizzazione della domanda è stata apertamente prevista come manovra di spending review, da realizzare attraverso maggiore “massa critica” immessa sul mercato che aumenta la concorrenza ed economie di scala alla produzione che determinano minori prezzi. Del resto, la concentrazione della domanda è la prima finalità connessa all’istituzione dei Soggetti aggregatori medesimi. Se la possibilità di compattare la domanda viene meno, cessa la stessa ragion d’essere dei (costosi) Soggetti aggragatori. Mettendo fine al paradosso di soggetti “aggregatori” che unificano la domanda, per poi doverla ri-disaggregare nei lotti “di provenienza”. Il solo residuale risparmio da “unificazione delle procedure” non compensa minimamente il costo di strutture deputate agli acquisti che si sono generalmente aggiunte a quelle degli enti “serviti”. Anche perché lo stesso risultato è ottenibile, a costo zero, con il pluri collaudato strumento dell’”unione di acquisto” tra amministrazioni.