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Gutgeld: “Con gli acquisti dei soggetti aggregatori risparmio in sanità del 23%”, ma i conti non tornano

La centralizzazione degli acquisti in sanità ha consentito un risparmio medio del 23 per cento. Lo ha dichiarato in un incontro pubblico Itzhak Yoram Gutgeld, commissario per la revisione della spesa pubblica.

Nel contesto, il commissario ha osservato che la supposta efficienza di alcuni territori rispetto ad altri è un po’ un mito. Si tratta di gare per “decine di miliardi” e dunque i risparmi saranno per “miliardi e serviranno per la sanità per avere più risorse per finanziare l’innovazione”.

Per inciso – osserviamo – il collegare la centralizzazione della domanda all’avvento dei soggetti aggregatori appare improprio. Di fatto oggi i “soggetti aggregatori” più attivi e importanti in relazione alla spesa transata non son altro che le preesistenti centrali regionali di acquisto cui è stata cambiata la denominazione e che, in un sistema di vasi comunicanti, hanno spesso cooptato il personale asl o ao che già presiedeva agli acquisti. Le merceologie trattate, poi, erano già in gran parte oggetto di acquisto centralizzato.

Gutgeld ha sottolineato che oltre ai risparmi è stata garantita la qualità: “su ogni categoria abbiamo creato dei gruppi di lavoro di professionisti con i quali sono state definite le linee guida”.

“I risparmi che si riescono a fare in questo ambito – chiarisce Gutgeld – vengono reimmessi subito per migliorare il sistema degli acquisti, l’efficienza e l’innovazione in generale”.

“Noi andiamo avanti con questo sistema e dall’anno prossimo il sistema sarà allargato ad altre categorie” con un Dpcm che arriverà “entro fine anno”.
Quindi Gutgeld evidenzia come i risparmi ci siano in ogni settore, “in realtà differenze di prezzo ci sono in tutte le Regioni. La leggenda che alcune regioni sono molto, molto efficienti altre no è un mito”.

“In realtà – aggiunge il commissario alla revisione della spesa – in tutte le Regioni, al Nord, al Sud e al Centro, lo stesso prodotto veniva comprato da diversi ospedali, a pochi chilometri di distanza, tra prezzi che variano su un prodotto da 300 a mille euro”.

“Il problema non è tra Nord e Sud – ribadisce Gutgeld – ma del sistema che, essendo frammentato, non garantiva la massa di acquisto nè la professionalità di chi comprava”, Gutgeld ha quindi assicurato che sulle centrali di acquisto “c’è un impegno di tutte le Regioni, ma il punto di partenza delle diverse Regioni rispetto al sistema di acquisto è diverso. Naturalmente ci sono differenze, ma l’obiettivo è arrivare a una maggiore collaborazione tra Regioni”.

Durante una recente audizione in commissione Federalismo fiscale sullo stato della spending review nelle Regioni e negli enti locali, il Commissario ha prospettato i prossimi obiettivi: “E’ vero che, nel passato, le aziende produttrici di supporti sanitari facevano prezzi più alti se l’acquirente era il pubblico, ma ora, con gli acquisti centralizzati, questo sta cambiando, e, a regime, ci aspettiamo un risparmio del 50%. Nel 2015, i 3/4 degli acquisti del settore sanità sono stati fatti a livello di singolo ospedale, il restante quarto in maniera più centralizzata; quest’anno stiamo viaggiando a quasi il 90% di acquisti centralizzati. L’anno scorso abbiamo fatto bandi per 25 miliardi e quest’anno per 30, per arrivare a un totale di 55 miliardi accumulati: sono bandi di acquisto pluriennali. Abbiamo fatto una revisione degli acquisti su tutti i contratti di acquisto della sanità (più di 40mila) nelle diverse Regioni. In base ai dati 2014 – spiega – il 18% degli stent cardiaci acquistati in Piemonte costava tra 370 e 420 euro (400 di media), il 7% costava 550 euro, il 22% ne costava più di 600, l’11% arrivava a 700, il 16% a 800, il 14% a 850, l’11% a 1000 euro. In Veneto, invece – continua – i prezzi risultano omogenei perchè‚ al 2014 era l’unica Regione che aveva già fatto una gara d’acquisto regionale, ottenendo un prezzo attorno a 300 euro. Sostanzialmente – puntualizza – in casi come quello piemontese, l’acquisto è fatto dai singoli ospedali: se gli acquisti fossero fatti a livello regionale, con quantità più grandi, si potrebbe trattare direttamente con le case produttrici, mentre, dovendo fare acquisti meno significativi, si deve passare attraverso i distributori, la catena si allunga e il prezzo sale, anche del 30, 50, 80%”.

Sulla determinazione del risparmio, è discutibile la metodologia dichiarata dal Commissario, cioè quella del confronto con i prezzi precedentemente pagati. Tale modalità di confronto appare tecnicamente scorretta, perché non considera l’evoluzione naturale di mercato dei prezzi. Nei mercati a rapida obsolescenza tecnologica o a tendenziale incremento concorrenziale – molti dei quali compresi nel paniere degli acquisti sanitari – i prezzi scendono indipendentemente dall’aggregazione della domanda e, in questo caso, il risparmio si sarebbe ottenuto anche senza l’azione del soggetto aggregatore. Esemplare, in questo senso, il caso dei farmaci allo scadere del brevetto. Ma questa finezza di analisi non fa brodo.

D’altra parte i “risparmi” sui prezzi di acquisto dichiarati da Gutgeld sono solo gli ultimi in ordine di tempo della lunga teoria di risparmi – sempre rigorosamente a due cifre – che, negli anni (sono ormai almeno tre lustri che, particolarmente in sanità, viene attuata e progressivamente incrementata una politica di acquisti aggregati), sono stati “annunciati” di volta in volta da Consip e dalle regioni a seguito delle procedure di acquisto centralizzate svolte, con implicito il messaggio che a tali riduzioni di prezzo avrebbero corrisposto analoghe riduzioni della spesa.

Ad esempio, Consip dichiara che i risparmi generati dall’attività della centrale degli acquisti a fine 2016 (in termini di riduzione dei prezzi praticati per le singole categorie merceologiche) hanno toccato i 3,5 miliardi con una crescita del 6% rispetto all’anno precedente contribuendo a generare una minore spesa di circa 10 miliardi nell’ultimo triennio.
Ma i conti non tornano. I risparmi sui prezzi non sembrano avere un corrispondente effetto sulla spesa.

Secondo le previsioni contenute nella nota di aggiornamento al DEF 2017, i consumi intermedi della p.a (di cui quelli sanitari rappresentano una quota rilevante) soni destinati ad aumentare da 137.187 milioni del 2017 a 141.060 milioni nel 2020, proprio in corrispondenza del dispiegarsi dell’effetto dei contratti di acquisto centralizzati pluriennali aggiudicati e dell’ulteriore massa critica che, come è stato dichiarato, sarà soggetta ad acquisto centralizzato.

Relativamente allo specifico sanitario, nel 2016, la spesa per i consumi intermedi ha rappresentato il 28,1% della spesa complessiva con un incremento significativo rispetto all’incidenza del 2000 (18,7%). Tale voce di spesa, pur presentando una progressiva riduzione della dinamica di crescita nel tempo, mantiene tuttavia un tasso di crescita medio annuo significativamente superiore al resto della spesa. In particolare, il tasso passa dal 9,7% del periodo 2001-2005, al 6,3% del quinquennio 2006-2010 e al 2,4% del periodo 2011-2016. Sterilizzando la spesa dal’incidenza dei farmaci, si registra un “raffreddamento” degli incrementi, ma non una riduzione di spesa. Al netto quindi della componente farmaceutica (comprendente i costosi farmaci “innovativi” e quelli traslati dalla spesa convenzionata esterna), che rappresenta circa un terzo dell’aggregato complessivo, gli altri consumi intermedi registrano nel 2016 una crescita del 2,3% rispetto al 2015.

L’approccio ai prezzi è suggestivo e di effetto (la mitica siringa….), ma riduttivo. La spesa ha almeno altre due determinanti: il volume della produzione e i consumi. Ma questa è un’altra storia.

articolo a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.