Indirizzo

Corso Matteotti 15,
Cremona, CR 26100

Illegittima la raccomandazione regionale che “sconsiglia” l’utilizzo di un determinato farmaco

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi.

Non spetta alle Regioni consigliare o sconsigliare ai medici operanti nelle strutture pubbliche, attraverso raccomandazioni e linee guida, l’uso di un determinato farmaco. È quanto ha stabilito Consiglio di Stato, sez. III, 29 settembre 2017, n. 4546.

La Regione Veneto aveva costituito una Commissione Tecnica Regionale Farmaci (CTRF) con il compito, tra gli altri, di esprimere pareri e raccomandazioni su singoli farmaci o categorie terapeutiche, redigere linee guida farmacologiche e percorsi diagnostici-terapeutici, monitorare l’appropriatezza, la sicurezza e la spesa dei medicinali, sia in ambito ospedaliero che territoriale.

Successivamente, il Gruppo di Lavoro sui farmaci innovativi, istituito nell’ambito del coordinamento della Rete Oncologica Veneta (CROV), ha licenziato delle raccomandazioni evidence-based su quattro farmaci oncologici per il trattamento del carcinoma ovarico I linea e del carcinoma mammario. Le Direzioni Sanitarie dei Centri autorizzati alla prescrizione dei medicinali avrebbero avuto il compito di monitorare l’attuazione di queste raccomandazioni.
Una società farmaceutica produttrice di due di tali farmaci ha impugnato le raccomandazioni, in particolare laddove qualificavano i suoi prodotti come “moderatamente raccomandato” o “non raccomandato”.

In primo grado il TAR ha rigettato il ricorso, sulla base della considerazione che “la raccomandazione impugnata, nella parte in cui considera come sconsigliabile o non raccomandato l’utilizzo di un farmaco di proprietà e produzione della ricorrente, non può essere letta se non come mera indicazione volta a consentire la quantificazione ex ante della spesa “attesa” per la cura di quella certa determinata patologia, non vincolando, da un lato, il curante, né, dall’altro, legittimando valutazioni provvedimentali nei confronti dei dirigenti delle strutture ove operino i medici che tali farmaci abbiano prescritto”.

Al contrario, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello della società farmaceutica, riformando la sentenza di primo grado per tre ordini di ragioni.

In primo luogo, con i provvedimenti regionali è stata lesa la competenza esclusiva statale, e in particolare dell’AIFA, nella valutazione dell’appropriatezza, prescrivibilità e rimborsabilità di un farmaco. Ed infatti, secondo i giudici di Palazzo Spada, “rimane alle Regioni precluso stabilire, in senso riduttivo, i presupposti e i criteri di erogazione di un medicinale classificato dall’AIFA come OSP, posto che da tale limitazione deriverebbe, inevitabilmente, un vulnus ai LEA – livelli essenziali di assistenza – nella misura in cui l’assistenza ospedaliera comprende anche l’uso dei farmaci classificati, a livello statale, come funzionali alla cura della peculiare patologia affidata all’assistenza anche farmacologica garantita dal Servizio Sanitario Nazionale a tutti i cittadini, in condizioni di uguaglianza su tutto il territorio nazionale”. Da ciò deriva che le raccomandazioni regionali “inevitabilmente incidono sulla sua erogazione da parte del Servizio Sanitario Nazionale e si sovrappongono, con la loro valutazione tecnica, ad una valutazione circa la loro appropriatezza, la loro prescrivibilità e la loro rimborsabilità, che è già stata compiuta dall’AIFA a livello nazionale”.

L’incidenza e il condizionamento delle scelte dei medici da parte delle raccomandazioni regionali è inoltre confermata, a parere del Consiglio di Stato, dal monitoraggio e dai controlli periodici successivi in ordine all’applicazione e al rispetto delle linee guida emanate dalla Regione, “in mancanza di qualsivoglia correlazione con le valutazioni cliniche del medico e le effettive esigenze dei pazienti”.

Infine, la sentenza in commento ha dichiarato l’illegittimità delle raccomandazioni della Regione Veneto anche sotto il profilo della carenza di istruttoria, dal momento che, nel caso di specie, è mancato un previo confronto con l’AIFA sull’equivalenza tra principi attivi affermata nelle Linee guida regionali. Secondo il Consiglio di Stato, infatti, l’indicazione da parte della Regione di farmaci alternativi a quelli “sconsigliati” o “moderatamente consigliati” avrebbe dovuto essere preceduta da una necessaria “valutazione circa l’equivalenza terapeutica dei principî attivi da parte dell’AIFA, valutazione che compete a questa Autorità e solo a questa effettuare”.

Di qui l’accoglimento dell’appello promosso dalla società farmaceutica produttrice dei farmaci “sconsigliati”.
Il caso in esame diversi spunti di riflessione.
In primo luogo, c’è un profilo che attiene alla questione delle competenze, da un lato dell’AIFA, dall’altro delle Regioni (che, come noto, hanno potestà legislativa concorrente – e regolamentare – in materia di tutela della salute ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost.).
A ciò si collega anche il tema della carenza di istruttoria, e quindi del coinvolgimento dell’AIFA.
Ma il tema centrale è certamente quello dell’incidenza sull’attività prescrittiva da parte dei medici operanti nelle strutture sanitarie pubbliche, soggetta peraltro a controlli periodici aventi ad oggetto il rispetto delle raccomandazioni regionali.

Sul punto, la posizione del Consiglio di Stato è netta, anche se in effetti le raccomandazioni regionali non avevano carattere vincolante e non contemplavano l’applicazione di sanzioni nei confronti dei medici o delle strutture sanitarie che si fossero da esse discostati. Non sembra, dunque, che si fosse di fronte a un vero e proprio condizionamento effettivo delle scelte dei terapeuti in ordine alla prescrizione di un dato farmaco.

Da ultimo, non si può non sottolineare come la sentenza commentata potrebbe avere portata dirompente, dal momento che sono numerose le Regioni che hanno via via adottato raccomandazioni sull’utilizzo di determinati farmaci.

Riproduzione riservata