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La sanità nel Rapporto 2017 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica

Nel complesso, la spesa sanitaria cresce dell’1 per cento. Il comparto, anche per merito della “manutenzione continua” cui viene sottoposto da anni, può ormai essere considerato “sotto controllo”. I beni e servizi valgono 30,4 miliardi, con un incremento del 3,1% (4,5% il 2015 sul 2014). I beni aumentano del 4,7%, trainati dai farmaci. I dispositivi medici aumentano del 1,3%. Stabili l’assistenza di base e l’assistenza ospedaliera, flette la farmaceutica (-1,9%). La pressione sul contenimento della spesa penalizza gli investimenti, con conseguenze negative sulla qualità e l’efficienza assistenziale. Tra il 2009 e il 2015 l’Italia ha registrato una riduzione, in termini reali, delle risorse destinate alla sanità in media di 1,1 punti all’anno a fronte di un aumento dello 0,8 in Francia, dell’1,2 in Olanda, del 2 in Germania. Ne derivano divari consistenti sia in termini pro capite (secondo le stime dell’Ocse, nel 2015 la spesa sanitaria pubblica pro capite era di 1.900 euro in Italia, quella in Germania era di 3.400 euro e 2.600 in Francia), che in percentuale del prodotto (9,1 per cento in Italia rispetto all’11 per cento degli altri due Paesi europei e al 9,9 per cento della media UE). Il blocco del turn over ha prodotto un’elevata età media dei dipendenti.

LA SANITÀ TRA EFFICIENZA E QUALITÀ DELL’OFFERTA

Secondo i dati di preconsuntivo contenuti nella Nota di aggiornamento del DEF, nel 2016 la spesa sanitaria è cresciuta di circa l’1 per cento. Questo risultato si inserisce in un quadro economico finanziario ancora particolarmente stringente, soprattutto in confronto con i principali partner europei. Tra il 2009 e il 2015 l’Italia ha registrato una riduzione, in termini reali, delle risorse destinate alla sanità in media di 1,1 punti all’anno a fronte di un aumento dello 0,8 in Francia, dell’1,2 in Olanda, del 2 in Germania. Ne derivano divari consistenti sia in termini pro capite (secondo le stime dell’Ocse, nel 2015 la spesa sanitaria pubblica pro capite in p.p.p. era di 1.900 euro in Italia, quella in Germania era di 3.400 euro e 2.600 in Francia), che in percentuale del prodotto (9,1 per cento in Italia rispetto all’11 per cento degli altri due Paesi europei e al 9,9 per cento della media UE). Guardando ai risultati economici e gestionali, nel 2016 si registra un miglioramento, seppur limitato: le perdite si riducono, passando dai 944 milioni del 2015 a 847 milioni. Sono soprattutto le perdite delle regioni in Piano di rientro che flettono, dai 396 milioni del 2015 a poco oltre i 271 milioni. Le regioni non in Piano confermano il risultato dello scorso anno, presentando un deficit complessivo di circa 540 milioni.

Tra il 2009 e il 2016, considerando le coperture scontate nei CE e il gettito fiscale aggiuntivo da incremento delle aliquote, le regioni in Piano sono passate da una perdita di oltre 1 miliardo ad un avanzo di circa 750 milioni. Un risultato di rilievo, anche perché ottenuto in un periodo segnato da una profonda crisi. Si conferma, quindi, la capacità delle strutture centrali e regionali di procedere a quella “manutenzione continua” della strumentazione predisposta negli ultimi anni che, finora, ha consentito di rispondere alle esigenze di riassorbimento di inefficienze e squilibri continuando a confrontarsi su nuove opportunità di cura ed esigenze.

La forte pressione sul contenimento delle risorse si è riflessa anche sulla possibilità di garantire un adeguato flusso di investimenti (-38,3 per cento tra il 2013 e il 2016). Un problema comune con altri settori, ma che rischia di riverberarsi sulla stessa possibilità di garantire i livelli di assistenza e sulla qualità dei servizi offerti, siano essi basati su strutture, apparecchiature, dispositivi o farmaci ad elevato contenuto tecnologico. Con riferimento alle grandi apparecchiature sanitarie, la banca dati NSIS del Ministero della Salute permette alcune considerazioni: la forte concentrazione delle apparecchiature in pochi nodi principali per area può essere, di per sé, un inevitabile motore della mobilità interregionale; sono oltre il 30 per cento le apparecchiature ancora in esercizio aventi un’età superiore ai 10 anni e per le quali, guardando ai tempi medi di obsolescenza, vi sarebbe necessità di sostituzione. Evidenti i rischi connessi all’invecchiamento del parco installato, con possibili riflessi negativi sulla qualità degli esami e implicazioni per il paziente. Tale situazione incide poi, inevitabilmente, sui tempi di indisponibilità delle apparecchiature per l’aumento dei guasti, e determina un aumento dei costi di esercizio per manutenzione, energia, etc. Un’apparecchiatura efficiente presenta benefici su più aspetti: dalla riduzione dei tempi di degenza nell’attività ospedaliera alla riduzione delle liste d’attesa. Va, infine, osservato come non di minor rilievo rispetto agli investimenti materiali siano quelli in capitale umano. Le misure volte a contenere il costo del lavoro hanno, da un lato, contribuito al miglioramento dei risultati economici e al riassetto organizzativo ma, dall’altro, hanno introdotto distorsioni che incidono sull’adeguatezza del servizio. Come messo in evidenza dalla Corte anche nell’ultimo Rapporto sul lavoro pubblico, il blocco del turn-over ha inciso: sull’età media dei lavoratori del SSN, oggi particolarmente elevata; sulla possibilità di adeguare la composizione tra figure professionali per rispondere ad esigenze di una popolazione in forte cambiamento e sempre più affetta da cronicità o disabilità, con conseguente maggior necessità di personale delle professioni sanitarie. Su questi temi e sui rapporti tra le diverse figure professionali sta lavorando il Governo. In conclusione, le scelte operate in questi anni hanno raggiunto risultati importanti. Il riassorbimento degli squilibri strutturali si è basato su un processo di razionalizzazione dell’offerta, che ha interessato soprattutto i servizi ospedalieri. A fronte di ciò, il sistema presenta oggi anche fragilità, su cui è necessario orientare le risorse liberate da una gestione che deve essere sempre più attenta ad efficienza ed appropriatezza.

LA SPESA PER BENI E SERVIZI

Continua, seppur a ritmi meno sostenuti del 2015, l’aumento dei costi relativi agli acquisti di beni e servizi. Si tratta di un insieme composito: gli acquisti di beni, le manutenzioni, gli altri servizi sanitari e non, gli oneri per il godimento di beni di terzi e i servizi appaltati. Nel complesso, essi raggiungono nel 2016 i 30,4 miliardi, con un aumento del 3,1 per cento (l’incremento era stato del 4,5 per cento nell’esercizio precedente). Un risultato che sembra destinato a mantenere una particolare attenzione sulle misure di contenimento introdotte a partire dal 2016 fino a quelle previste nelle ultime leggi di bilancio.

Su due fronti, in particolare, è continuata, anche nel 2016, l’attività volta mettere a disposizione di operatori e istituzioni strumenti per rendere più efficiente ed efficace l’attività svolta. Sono stati attivati i bandi per il sistema dinamico Consip e si sono concluse le procedure per l’aggiornamento dei repertori sui prezzi di riferimento in importanti aree degli acquisti sanitari; si è proceduto alla attivazione dei Piani di rientro per le strutture ospedaliere, rafforzando le possibilità di governo degli squilibri (non solo economici) nelle diverse aree territoriali; sono stati implementati strumenti informativi per dare alle Amministrazioni regionali e aziendali strumenti sempre più ricchi e aggiornati per valutare le scelte gestionali e rendere più mirate le scelte programmatiche.

LE MISURE DI CONTROLLO DELLA SPESA PER BENI E SERVIZI

Si è intensificato, nell’anno, lo sforzo di mettere a disposizione delle aziende e degli operatori del settore sanitario strumenti volti a ridurre l’incidenza dei costi di beni e servizi, spingere ad un più appropriato utilizzo delle risorse e riassorbire differenze poco giustificabili nei costi di tali forniture. Si tratta di quanto disposto con il decreto-legge n. 98 del 2011 che ha previsto l’istituzione dell’Osservatorio dei contratti che pubblica dal luglio 2012 un elenco di prezzi di riferimento di oltre 300 beni e servizi. Uno strumento operativo per la programmazione e la razionalizzazione della spesa.

Successivamente, il decreto-legge n. 95 del 2012 ha disposto la riduzione del 10 per cento dei corrispettivi per l’acquisto di beni e servizi (con esclusione dei farmaci ospedalieri) a partire dal 2013 e dei corrispondenti volumi d’acquisto per tutta la durata residua dei contratti, e l’obbligo per le aziende sanitarie di rinegoziare con i fornitori i contratti per l’acquisto di beni e servizi (con possibilità di recesso dagli stessi) qualora i prezzi unitari in essi previsti risultino superiori al 20 per cento rispetto ai prezzi di riferimento individuati dall’Osservatorio per i contratti pubblici. Il d.l. n. 78 del 2015 ha richiesto agli enti del SSN di proporre ai fornitori una rinegoziazione dei contratti in essere che avesse l’effetto di ridurre i prezzi unitari di fornitura e/o i volumi di acquisto, del 5 per cento del valore complessivo. Ha esteso, inoltre, tale misura di risparmio a tutte le tipologie di contratti in essere di beni e servizi, quindi anche alle concessioni di lavori pubblici, alla finanza di progetto, alla locazione finanziaria di opere pubbliche e al contratto di disponibilità. In caso di mancato accordo con i fornitori, gli enti del SSN avevano diritto di recedere dal contratto, in deroga all’articolo 1671 del codice civile, senza alcun onere a loro carico. Al fine di assicurare comunque la disponibilità dei beni e servizi indispensabili per garantire l’attività gestionale e assistenziale, nelle more dell’espletamento delle gare indette in sede centralizzata o aziendale, gli enti del SSN possono stipulare nuovi contratti accedendo a convenzioni-quadro, anche di altre Regioni, o tramite affidamento diretto a condizioni più convenienti in ampliamento di contratto stipulato, mediante gare di appalto o forniture, da aziende sanitarie della stessa o di altre Regioni o da altre stazioni appaltanti regionali per l’acquisto di beni e servizi. Il d.l. n. 78 del 2015 prevedeva poi una procedura di rinegoziazione anche per i contratti per i dispositivi medici, senza tuttavia fissare una misura di riduzione

L’ANDAMENTO DELLE SINGOLE COMPONENTI DI SPESA

Diversi gli andamenti ove si guardi alle singole componenti di spesa. Per quanto riguarda gli acquisti di beni, si registra nell’anno un ulteriore aumento della spesa del 4,7 per cento (+7,9 per cento nel 2015). Tale crescita è influenzata dalla preponderanza, all’interno dell’aggregato, delle voci relative ai prodotti farmaceutici (in aumento al lordo dei pay back del 2 per cento) e ai dispositivi medici (in crescita dell’1,3 per cento contro il 1,5 per cento del 2015), che rappresentano, rispettivamente, il 61 per cento e il 32 per cento di tale voce. Tali andamenti sono in parte compensati da un’ulteriore riduzione negli acquisti di componenti chimici (-24 per cento) e dalla flessione di acquisti di beni non sanitari (-10 per cento) soprattutto prodotti alimentari, combustibili e prodotti informatici. Come lo scorso esercizio i dati relativi ai farmaci risentono della crescita dei prodotti innovativi e dell’accelerazione del ricorso alla distribuzione diretta da parte di quasi tutte le Regioni.

La spesa per farmaci registra una crescita particolarmente sostenuta nelle Regioni in Piano di rientro, +3,4 per cento a fronte dello 0,6 per cento delle altre Regioni. Nel complesso tale voce di spesa è cresciuta di oltre il 27 per cento dal 2009 (+3,9 miliardi), incisa anche dalle modifiche gestionali che hanno portato al sempre più ampio ricorso alla distribuzione diretta. Particolare attenzione meritano i dispositivi medici. Nel 2016 la spesa per dispositivi medici è aumentata dell’1,3 per cento. Diversi gli andamenti per i principali aggregati: la spesa per dispositivi diagnostici in vitro e per quelli impiantabili attivi indicano una crescita, rispettivamente, dell’1,3 e del 3,5 per cento mentre aumentano dell’1 per cento gli esborsi per gli altri dispositivi. Come nel 2015, diversi sono gli andamenti per area territoriale: nelle Regioni a statuto speciale del Sud la crescita è del 2,2 per cento ed è da ricondurre al forte incremento registrato nei dispositivi medici (+4,3 per cento), solo in parte compensato dalla flessione della spesa per quelli impiantabili e soprattutto per quelli diagnostici in vitro; nelle Regioni centrali, si registra una crescita più contenuta ma come risultato di un aumento superiore al 16 per cento degli acquisti di dispositivi impiantabili attivi; nelle Regioni a statuto speciale del Nord la crescita complessiva molto superiore alla media (+5 per cento) è da ascrivere ai dispositivi diagnostici in vitro (+25 per cento) e a quelli impiantabili in vitro. Si confermano le differenze in termini di spesa pro capite tra aree: superiore di oltre il 30 per cento rispetto alla media quella nelle RSS del Nord e del 9 per cento quella delle Regioni del Centro.

Nelle RSO meridionali i pagamenti per dispositivi impiantabili risulta superiore di poco meno del 50 per cento alla media nazionale, mentre nelle RSS del Nord quelli per diagnostica in vitro risultano superiori del 36 per cento. Sul fronte dei dispositivi medici vanno sottolineati i progressi compiuti nella costruzione e operatività degli strumenti di governo degli andamenti della spesa e di tutela della qualità dell’assistenza rappresentati dal sistema Banca Dati e Repertorio dei Dispositivi Medici e (BD/RDM) dal Flusso informativo per il monitoraggio dei consumi che rappresentano un punto di riferimento frutto della collaborazione tra autorità centrali e Regioni. Il sistema banca bati e Repertorio dei dispositivi medici consente di raccogliere e rendere disponibile agli operatori e al pubblico l’articolazione dell’offerta di dispositivi medici sul mercato italiano. La registrazione nella banca dati rappresenta la modalità di comunicazione dei dati riguardanti i dispositivi medici immessi sul mercato italiano da parte del fabbricante/mandatario all’Autorità competente italiana. Il Repertorio ricomprende, invece, un sottoinsieme di dispositivi medici presenti nella Banca Dati, per i quali il fabbricante rende disponibili informazioni agli operatori del SSN. I dispositivi sono classificati raggruppandoli in modo omogeneo, secondo criteri che ne consentono un confronto all’interno dello stesso segmento di classificazione.

Il CND (Consiglio Nazionale dei Dispositivi) unitamente al numero di repertorio, nell’ambito dei processi d’acquisto da parte del Sistema Sanitario Nazionale, può consentire di pervenire alla definizione di prezzi di riferimento per classi e sottoclassi omogenee, oltre a rappresentare un utile strumento di controllo e di verifica della qualità dell’offerta. Elemento prezioso per monitorare il consumo di dispositivi medici da parte delle strutture del SSN e la relativa spesa sostenuta è il flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici direttamente acquistati dal Servizio Sanitario Nazionale. Esso fornisce per ciascun acquisto informazioni relative al soggetto acquirente, al dispositivo acquisito (identificato attraverso numero di Repertorio, la classificazione CND e il fabbricante, ecc.) alle quantità e alla spesa sostenuta per unità. Il flusso informativo ha la duplice finalità di consentire il monitoraggio dei consumi e della relativa spesa, nonché il monitoraggio dei contratti di acquisto di dispositivi. La rilevazione non risulta ancora completa in modo omogeneo sul territorio nazionale. L’entrata a regime del Flusso Contratti consentirà di ampliare ulteriormente la conoscenza della spesa sostenuta dalle strutture. La legge finanziaria del 2003 ha istituito la Commissione Unica sui Dispositivi medici (CUD) attribuendogli il compito di definire e aggiornare il repertorio dei dispositivi medici e di classificare tutti i prodotti in classi e sottoclassi specifiche con l’indicazione del prezzo di riferimento.

La prima versione della CND è stata definita dalla CUD nel luglio 2005 e approvata con decreto del Ministro della salute del 22 settembre 2005. Successivamente, la legge finanziaria del 2006 ha modificato la procedura prevedendo l’accordo in sede di Conferenza Stato Regioni. La nuova versione della CND approvata dalla CUD è stata emanata con Decreto ministeriale del 20 febbraio. Sono seguite ulteriori revisioni negli anni successivi (2008, 2010, 2011, 2013), l’ultima è quella apportata con il d.m. dell’8 giugno 2016. La CND ha una struttura ad albero con diversi livelli di approfondimento, fino ad un massimo di sette. Essa si articola in categorie, gruppi e tipologie. Ad ogni tipologia di dispositivo, costituente un ramo terminale della classificazione, viene attribuito un codice alfanumerico costituito da una lettera identificativa della categoria di collocazione del dispositivo stesso, da una coppia di numeri identificativa del gruppo di appartenenza, all’interno della categoria, e da una serie di altre coppie di numeri (la cui numerosità dipende dal livello di approfondimento di quella parte della classificazione), che nel loro complesso identificano la tipologia di prodotti.

Le categorie sono distinte in tre raggruppamenti principali: quelle di tipo anatomico (dispositivi per emotrasfusione ed ematologia; per apparato cardiocircolatorio; per dialisi; per apparato gastrointestinale; dispositivi per il sistema nervoso e midollare; per odontoiatria, oftalmologia e otorinolaringoiatria; per apparato respiratorio e anestesia; per apparato urogenitale), di tipo funzionale (dispositivi da somministrazione, prelievo e raccolta; disinfettanti, antisettici e proteolitici; da sutura; per chirurgia mini-invasiva ed elettrochirurgia; strumentario chirurgico pluriuso; per medicazione generale e specifiche; prodotti per sterilizzazione; di protezione e ausilio per incontinenza; dispositivi vari) e cosiddette “speciali” (dispositivi impiantabili attivi; protesici impiantabili e prodotti per osteosintesi; medico diagnostici in vitro; supporti o ausili tecnici per persone disabili; apparecchiature sanitarie e relativi componenti accessori e materiali). Come ricordato anche nel recente “Rapporto sulla spesa rilevata dalle strutture sanitarie pubbliche del SSN per l’acquisto di dispositivi medici” (Ministero della salute, dicembre 2016) i produttori italiani che operano nel settore dei dispositivi medici sono caratterizzati da un alto livello di innovazione e mostrano performance migliori della media.

L’osservatorio Produzione, Ricerca e Innovazione (PRI di Assobiomedica) ha censito 4.480 imprese che in Italia operano nel settore dei dispositivi (di cui il 53 per cento si occupa di produzione, il 42,6 per cento di distribuzione ed il restante 4,4 per cento di servizi). Esse occupano 68.189 dipendenti (di cui il 60,1 per cento in imprese di produzione, il 32,2 per cento in imprese di distribuzione ed il 7,7 per cento in imprese di servizi) e hanno un fatturato medio di 5,4 milioni di euro (Assobiomedica, 2016).

Tra le categorie anatomiche quelle a maggior impatto sono i dispositivi per l’apparato cardiocircolatorio e quelli per dialisi. Ad essi è riconducibile una spesa di circa 600 milioni. Anche per queste tipologie si confermano livelli di esborso pro capite superiori alla media, rispettivamente del 27 e di circa il 15 per cento sia nelle Regioni centrali che in quelle a statuto speciale del Nord. Sul risultato medio dell’area centrale incidono, in particolare, i risultati delle Regioni minori (Umbria e Marche) che presentano valori pro capite relativi ai dispositivi per dialisi superiori di oltre il 140 e il 75 per cento alla media nazionale. Mentre la spesa della Regione maggiore il Lazio si mantiene ben sotto la media. Particolarmente elevato anche l’importo nella Regione Calabria. Tra le funzionali circa il 56 per cento della spesa si concentra in 3 categorie: i dispositivi da somministrazione, prelievo e raccolta, quelli da sutura e quelli per chirurgia mini invasiva. Anche in questo caso, si confermano i livelli particolarmente elevati delle RSS del Nord. In tali categorie, inoltre, si osserva una spesa pro capite particolarmente contenuta nelle Regioni maggiori: sia in Lombardia, nel Lazio, in Campania e in Sicilia gli importi sono bene inferiori alla media. Ciò sembra indicare la possibilità di contare su significative economie di scala.

Per quanto riguarda le speciali sono i dispositivi protesici a presentare l’importo di maggior rilievo (827 milioni), con importi pro capite particolarmente elevati oltre che nelle RSS del Nord, anche in Emilia, Toscana e Marche (superiori alla media del 43 per cento le prime due, di oltre il 68 per cento le Marche). Tutte le Regioni del Sud in Piano di rientro presentano importi di oltre il 30 per cento inferiori. Dopo una fase di sperimentazione sono stati definiti i dati relativi ai contratti di acquisto di dispositivi medici, che le Regioni e le provincie autonome sono tenute a comunicare. Si tratta di informazioni relative al contratto e, in particolare, la data di stipula, la durata, la forma di negoziazione, l’ambito di valenza, il Codice Unico di Gara (CIG) previsto per i contratti pubblici e rilasciato dal Sistema Informativo Monitoraggio Gare (SIMOG) dell’Autorità Nazionale Anti Corruzione (ANAC); informazioni relative al singolo dispositivo medico e, in particolare, il numero di pezzi presenti nella confezione, la quantità aggiudicata, la quantità contrattualizzata, il prezzo unitario aggiudicato, il fornitore, la presenza di servizi accessori. Il sistema Banca Dati – Repertorio dei Dispositivi Medici è stato esteso anche agli IVD dal decreto ministeriale 23 dicembre 2013, entrato in vigore il 5 giugno 2014. Da quella data, i soggetti che immettono in commercio IVD a proprio nome sono tenuti agli adempimenti di registrazione presso il Ministero della salute ottemperano agli obblighi previsti attraverso l’iscrizione nel sistema banca dati – Repertorio dei Dispositivi Medici. Per le apparecchiature sanitarie che rientrano, principalmente nella categoria Z è stata prevista l’attivazione di uno specifico monitoraggio a livello nazionale. Il decreto del Ministro della salute 22 aprile 2014 ha disciplinato le modalità di alimentazione e di aggiornamento dell’elenco delle apparecchiature da sottoporre a monitoraggio che, in fase di avvio, ha previsto: TAC, RNM, TAC/PET, Robot Chirurgici, ACC, GCC, GCT. Ai primi risultati tratti da questa banca dati si fa riferimento nel paragrafo relativo agli investimenti.

I TETTI ALLA SPESA FARMACEUTICA E AI DISPOSITIVI MEDICI NEL 2016

I risultati del monitoraggio della spesa farmaceutica relativi ai primi dieci mesi dell’anno (l’anticipazione dei tempi di definizione del Rapporto non consente di dar conto dei risultati del monitoraggio annuale), confermano quanto messo in evidenza nell’esame dell’esercizio 201517: l’accelerazione degli acquisti di farmaci da parte delle strutture pubbliche (sia come spese ospedaliera che in distribuzione diretta) non sembra più trovare compensazione nei risparmi nella componente netta. I confronti con il 2015 sono basati sempre sui primi 10 mesi dello scorso esercizio.

L’aumento della spesa per prodotti innovativi (solo in parte coperta dal fondo a tal fine stanziato) è alla base degli aumenti più consistenti. Nella lettura dei dati va considerato che nell’anno hanno, poi, inciso le difficoltà di funzionamento del pay back. La valutazione della rispondenza ai tetti previsti è al momento quindi solo indicativa. Non essendovi stata ancora una definizione dei pay back per l’anno appena concluso le somme indicate nel monitoraggio a riduzione della spesa non hanno trovato applicazione nei conti regionali.

Nel 2016 la spesa farmaceutica territoriale è risultata nel complesso pari a circa 12 miliardi, (il 13 per cento del finanziamento del SSN). Escludendo quanto coperto con il fondo per i farmaci innovativi (416,7 milioni, quota parte sui primi 10 mesi dell’anno del Fondo) e i pay back delle Aziende farmaceutiche a beneficio delle Regioni (tutti tranne quello dell’1,83 per cento disposto dall’articolo 11 comma 6 del d.l. n. 78 del 2010), la spesa rientra all’interno del tetto complessivo (11,35 per cento) per poco meno di 50 milioni. Eccedono il limite 11 Regioni: oltre a tutte quelle in Piano di rientro (ad eccezione del Piemonte) che superano il limite per poco meno di 360 milioni, la Sardegna (86 milioni) e, per importi molto limitati, le Marche, l’Umbria e la Basilicata.

I dati del monitoraggio offrono alcuni spunti ulteriori. La spesa territoriale convenzionata netta (al netto di tickets e sconti) si riduce in media del 3,6 per cento, con valori al di sopra della media in 8 Regioni. Si tratta di quelle stesse Regioni che registrano una flessione sopra media non solo nelle ricette, ma anche nelle dosi prescritte (fatta eccezione per la Sicilia). La maggior attenzione all’attività prescrittiva indotta dal decreto appropriatezza sembra emergere nei dati di inizio anno. Andrà verificato se tali miglioramenti abbiano inciso in particolare sulle realtà territoriali che presentavano un livello di prescrizioni pro capite superiore alla media. Sul risultato complessivo incide naturalmente la sensibile crescita della spesa diretta (+16,1 per cento al lordo del fondo per i farmaci innovativi), con punte particolarmente elevate (superiori al 25 per cento) in quattro Regioni: Umbria, Provincia di Trento, Sardegna e Molise. In aumento sono, infine, i proventi da compartecipazione a carico dei cittadini +1,1 per cento il dato ad ottobre 2016. Solo 3 Regioni presentano flessioni di rilievo: si tratta del Molise (-4 per cento) della Sardegna e del Veneto. Anche quest’anno, la farmaceutica ospedaliera presenta andamenti pronunciati che portano a superare il tetto programmato. Essa raggiunge il 5,2 per cento del finanziamento contro la soglia del 3,5 per cento: 4,7 miliardi rispetto al valore obiettivo di 3,2 miliardi (corrispondente al 3,5 per cento del finanziamento del 2016 per i primi 10 mesi dell’anno). Superiore al 6 per cento la spesa in Toscana e in Umbria. Solo la Provincia di Trento, quest’anno, si mantiene entro il limite. Tali risultati hanno messo in rilievo il limitato significato della distinzione, fino ad ora operata, tra farmaceutica territoriale e ospedaliera con la considerazione di quella diretta all’interno della territoriale. Anche, e forse soprattutto, per le implicazioni che da questo ne derivano per il contributo richiesto per il controllo della spesa.

Nella legge di bilancio per il 2017 viene, quindi, attuata una revisione dei meccanismi che regolano il sistema di gestione della spesa farmaceutica attraverso i tetti alla spesa. Il provvedimento mira a consentire una maggiore tracciabilità dei dati, utile anche al fine di ridurre i contenziosi con le aziende farmaceutiche che nell’ultimo periodo hanno registrato un notevole aumento. La revisione del sistema dei tetti per la spesa farmaceutica richiederà, tuttavia, un maggiore impegno nel controllo dell’appropriatezza nell’attività prescrittiva. Tale necessità è rafforzata dalla prevedibile riduzione dell’onere che era trasferito sulla filiera produttiva attraverso i meccanismi del pay back. Come è noto, il funzionamento dei meccanismi che regolano il pay back è diverso nel caso dell’assistenza farmaceutica territoriale e in quella ospedaliera. Nel primo, lo sforamento rispetto al tetto previsto è totalmente a carico degli operatori privati (aziende farmaceutiche, grossisti e farmacisti); nel secondo, è per il 50 per cento a carico delle aziende farmaceutiche e per la restante quota delle Regioni.

Va inoltre osservato come, nel caso del pay back sulla farmaceutica convenzionata, gli importi che derivano dalla procedura di ripiano sono assegnati per il 25 per cento alle Regioni in proporzione allo sforamento registrato e per il restante 75 per cento in base alle quote di accesso al finanziamento; mentre quelli relativi all’ospedaliera sono destinati in funzione dello sfondamento. Con l’inclusione disposta dalla legge di bilancio per il 2017 della spesa per farmaci di classe A in distribuzione diretta tra quelli ospedalieri (nei primi 10 mesi del 2016 poco meno di 4,2 miliardi circa un quarto della spesa complessiva) e non più tra quelli territoriali e la conseguente modifica delle quote previste per i tetti di spesa (da 11,35 a 7,96 per cento per la territoriale e da 3,5 a 6,89 per cento per l’ospedaliera) si ridimensiona l’onere per il pay back per le imprese da un lato (oggetto di un forte confronto con i governi nazionale e regionali), mentre si rafforza il compito di valutazione dell’appropriatezza prescrittiva delle strutture ospedaliere. Per quanto riguarda il tetto previsto per i dispositivi medici anche quest’anno la spesa eccede l’obiettivo.

La spesa è stata superiore di oltre il 20 per cento rispetto all’obiettivo. Molto differenziato il risultato regionale: sono 4 le Regioni che presentano una spesa coerente con il tetto previsto (Lombardia, Lazio, Campania e Calabria). Particolarmente marcati (superiori del 50 per cento) gli scostamenti in 8 Regioni: nel Nord le Regioni a Statuto speciale (tranne la Valle d’Aosta), tutte le Regioni centrali (tranne il Lazio) l’Abruzzo e la Sardegna. Tra queste solo Toscana e Abruzzo registrano una flessione rispetto alla spesa dello scorso anno. Al riguardo, non può non osservarsi che, a quasi due anni dall’approvazione del d.l. n. 78/2015 non risulta ancora attuato quanto disposto con l’articolo 9ter c.1 lettera a) riguardo alla definizione dei tetti di spesa a livello regionale e alle modalità per il ripiano.

I SERVIZI

I servizi sanitari e non sanitari (trasporti sanitari, consulenze, formazione, etc.) presentano andamenti diversi. I primi aumentano dell’0,6 per cento, per effetto di un andamento in crescita dei contributi sanitari e dei rimborsi (+1 per cento), a fronte di una sostanziale invarianza dei servizi sanitari da privati. Minore come dimensione assoluta, ma significativa, risulta la forte accelerazione (+27 per cento) delle spese per lavoro interinale dell’area sanitaria.

Diverso il risultato tra Regioni in Piano e non: nelle prime la variazione complessiva è di oltre il 4,4 per cento. Un andamento da ricondurre alla forte crescita (+10,6 per cento) dei servizi sanitari da privato che, invece, si riducono significativamente nelle Regioni non in piano pur rimanendo su importi pro capite superiori.

In flessione sono, invece, i servizi non sanitari (-1,8 per cento), soprattutto per la riduzione delle consulenze, collaborazioni e lavoro interinale non sanitario. Una riduzione che si concentra nelle Regioni in Piano di rientro (-6,3 per cento), che mantengono comunque un importo pro capite superiore alla media. I costi per il godimento di beni di terzi registrano nell’esercizio una crescita del 3,4 per cento. Un risultato da ricondurre alla significativa crescita dei canoni di noleggio (+3 per cento), superiore alla media nelle Regioni in piano che, nei noleggi di area sanitaria, registrano +7,5 per cento. I servizi appaltati presentano, come nel 2015, variazioni limitate (+0,5 per cento). Esse sono il risultato di una ricomposizione interna: al calo dei servizi di lavanderia, pulizia e per lo smaltimento dei rifiuti, corrisponde un aumento di oltre il 7,2 per cento dei servizi di assistenza informatica e di quelli di trasporto.

Un andamento da tener presente anche a fronte di misure che puntano, per questa tipologia di servizi, a risparmi nel futuro. La flessione registrata in molte delle aree di spesa segnala l’impegno assunto da parte delle Regioni di monitorare tali settori, avendo riguardo ai vincoli previsti dalla normativa e al crescente ricorso a centrali uniche di acquisto.

LE PRESTAZIONI ACQUISTATE

Le prestazioni riconducibili a soggetti market (assistenza sanitaria di base, farmaceutica, specialistica, riabilitativa, integrativa protesica ospedaliera e altre prestazioni) assorbono nel 2016 costi per 39,7 miliardi, con un incremento rispetto al 2015 di circa lo 0,6 per cento. Nel complesso, questa voce di spesa ha registrato dal 2009 un incremento di circa il 27 per cento.

Tra le prestazioni riconducibili a soggetti market, l’assistenza di base presenta un costo complessivo pari a 6,6 miliardi, sostanzialmente stabile rispetto allo scorso esercizio. Tale andamento sconta il blocco dei rinnovi delle convenzioni con i medici di base, in analogia a quanto previsto dalla normativa vigente per il personale dipendente. Di limitato impatto assoluto la crescita, di poco inferiore al 2 per cento, dei costi per la continuità assistenziale. In flessione anche nel 2016 la farmaceutica convenzionata. Nell’esercizio, la spesa si ferma a 8,1 miliardi (8,2 miliardi nel 2015), con una diminuzione dell’1,9 per cento (dal 2009 la flessione è stata di oltre il 26,5 per cento). Un calo da ricondurre all’effetto combinato di diversi fattori (farmaci generici, sconti a carico di grossisti e farmacisti, compartecipazione alla spesa dei cittadini). Ad essi si aggiunge, come si diceva, il potenziamento della distribuzione diretta – soprattutto nelle Regioni soggette a Piano di rientro – che ha determinato lo spostamento verso di essa di parte dei consumi dal canale convenzionale, con il conseguente risparmio dato dalla minore remunerazione della filiera distributiva. I risultati sono simili tra Regioni: la riduzione della spesa è di poco inferiore al 2 per cento sia nelle Regioni in Piano di rientro e non. Un risultato ottenuto nonostante una sostanziale sospensione dei rientri da pay back.

LA SPECIALISTICA CONVENZIONATA

Per la specialistica convenzionata, i costi subiscono un aumento in linea con i risultati complessivi (+1,1 per cento). La specialistica convenzionata comprende gli acquisti di prestazioni da convenzionati SUMAI, da Ospedali classificati, IRCCS privati, Policlinici privati e da altri operatori privati accreditati. Doppio è il livello degli acquisti da medici Sumai, mentre di un terzo superiore è quella da strutture private. Nonostante il rallentamento registrato negli ultimi anni (tra il 2009 e il 2012 tale voce infatti era cresciuta del 17 per cento), da riferirsi essenzialmente all’effetto positivo derivante dall’adozione degli strumenti di governo della spesa da parte delle Regioni, il permanere di prestazioni ritenute inappropriate continua a porre tale voce tra quelle sotto osservazione. Nel 2016 l’assistenza ospedaliera, aggregato che comprende le spese per l’assistenza da Ospedali convenzionati, classificati, IRCCS privati, Policlinici universitari privati e Case di cura private accreditate, non registra nel complesso variazioni significative (+0,23 per cento) interrompendo il processo di recupero rispetto al calo del triennio 2009-2012. Un dato di sintesi frutto tuttavia di andamenti territoriali differenziati.

A fronte di una crescita nelle Regioni a ordinamento speciale del Nord (in media +8,2 per cento) e di quelle del Centro (+1,1 per cento), le altre si riducono seppur in misura limitata. La crescita riguarda prevalentemente i corrispettivi per assistenza ospedaliera da IRCCS e Policlinici privati. Nelle Regioni in Piano l’aumento rispetto al 2015 è di poco inferiore al 22 per cento. In crescita dello 0,7 per cento anche l’importo verso case di cura private nelle Regioni in Piano di rientro, voce che spiega circa il 56 per cento della spesa complessiva per assistenza ospedaliera in tale ambito. Su tale dinamica della spesa nonché su quella per la specialistica ancora da verificare sono gli effetti delle misure disposte (d.l. n. 78 del 2015 oltre d.l. n. 95 del 2012), che prevedevano, a partire dal 2015, una riduzione complessiva degli acquisti da erogatori privati (volumi e corrispettivo). Si interrompe la progressiva riduzione degli acquisti di prestazioni di assistenza riabilitativa convenzionata da strutture private accreditate in atto dal 2007. Nel 2016 si registra, infatti, una seppur contenuta crescita (+2 per cento), da ricondurre prevalentemente alle Regioni in Piano di rientro, che vedono incrementare la spesa del 3,2 per cento.

La spesa per l’integrativa e protesica ricomprende le prestazioni che comportano l’erogazione dei prodotti destinati ad una alimentazione particolare per le persone affette da determinate malattie e dei prodotti destinati alle persone con patologia diabetica. Contiene, altresì, le prestazioni che comportano l’erogazione di protesi ed ausili monouso e tecnologici inclusi in appositi elenchi. I relativi costi ammontano, complessivamente, a circa 1,9 miliardi, invariata rispetto al 2015. Il risultato dell’anno è frutto di un aumento di 2,2 per cento di quella integrativa, pressoché compensato da una flessione di quella protesica sia nelle Regioni in Piano che nelle altre. L’aggregato “Altre prestazioni” ricomprende quelle relative alle cure termali, alla medicina dei servizi, all’assistenza psichiatrica, all’assistenza agli anziani, ai tossicodipendenti, agli alcolisti, ai disabili, alle comunità terapeutiche. Si tratta nel complesso di 7,9 miliardi, in crescita del 3,2 per cento (+4,5 per cento nel 2015) variazione che cresce al 3,8 per cento nelle Regioni in Piano. Va considerato che tale voce di spesa è cresciuta di oltre il 32 per cento dal 2009. Sono quattro le principali voci di spesa ricomprese nell’aggregato e che presentano pesi diversi tra Regioni in Piano e le altre Regioni. Si tratta, innanzitutto, degli acquisti di prestazioni socio sanitarie: esse pesano per oltre il 57 per cento sull’aggregato (il 46 per cento nelle Regioni in Piano di rientro) e presentano una crescita del 6 e del 3 per cento rispettivamente nelle Regioni in Piano e non. Agli acquisti per prestazioni di trasporto sanitario è riconducibile il 12 per cento (circa il 17 nelle Pdr), con una variazione media del 3,9 per cento, e con punte del 6,4 nelle Regioni non in Piano. Simile il rilievo in termini di risorse assorbite dell’acquisto di prestazioni di psichiatria residenziale e semiresidenziale (il 17,6 per cento nelle Pdr). In questo caso, sono le Regioni non in Piano presentare la crescita più sostenuta (+2,9 per cento) doppia di quella delle Regioni in Piano. La quarta voce per rilievo è costituita dalle prestazioni per la distribuzione dei farmaci File F. Si tratta di circa il 9 per cento dell’aggregato, che cresce al 13 nelle Pdr. Tale tipologia di spesa continua ad aumentare a ritmi sostenuti anche se inferiori al passato esercizio (10,9 per cento contro il 15,2 per cento del 2015).

articolo a cura del dott. Marco Boni, direttore responsabile di News4market.