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Se gli obblighi di pubblicità e trasparenza… fanno litigare i TAR

a cura dell’avvocato Giovanni Savoia.

Una delle novità del D.Lgs. 50/2016 rispetto alla disciplina previgente è costituita certamente dall’importanza riconosciuta ai principi di trasparenza e pubblicità.

Si tratta a ben vedere di un fenomeno più ampio, che abbraccia altri settori del diritto pubblico, non solo italiano, e che ha visto una prima consacrazione nel D.Lgs. n. 33/2013 e poi nel c.d. FOIA (Freedom of Information Act) introdotto nel nostro ordinamento con il D.Lgs. 97/2016, uno dei decreti attuativi della riforma Madia della pubblica amministrazione.

Nel settore degli appalti, tuttavia, esso assume una connotazione particolare e delicata, dal momento che la pubblicazione degli atti relativi alle procedure di gara ha significative conseguenze sulla loro impugnazione davanti al Giudice amministrativo.

Come noto, l’art. 29, comma 1, precisa che “ai fini di consentire l’eventuale proposizione del ricorso ai sensi dell’art. 120 del codice del processo amministrativo, sono altresì pubblicati, nei successivi due giorni dalla data di adozione dei relativi atti, il provvedimento che determina le esclusioni dalla procedura di affidamento e le ammissioni all’esito delle valutazioni dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali”.

E l’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., introdotto dal D.Lgs. 50/2016, fa decorrere il termine di 30 giorni per l’impugnazione delle ammissioni e delle esclusioni dalla pubblicazione di tale provvedimento sul profilo del committente della stazione appaltante, ai sensi dell’articolo 29, comma 1, del codice dei contratti pubblici. Si segnala, peraltro, che la recentissima bozza di decreto correttivo del Codice prevede un intervento sull’art. 29, al fine di precisare che, tra i tanti profili sui cui gli atti devono essere pubblicati (committente, ANAC, MIT), quello rilevante per la produzione degli effetti giuridici ai fini della decorrenza dei termini è il profilo del committente.

In ogni caso, emerge il concreto problema dell’ipotesi in cui la stazione appaltante non provveda con sollecitudine a pubblicare tale atto sul proprio profilo del committente: quid iuris?

Ebbene sul punto sono già emersi i primi contrasti in giurisprudenza, con conseguente incertezza per tutti gli operatori del settore su una delle principali novità, anche processuali, del nuovo codice degli appalti.

Si segnala in particolare, da un lato, TAR Basilicata n. 24/2017, secondo cui, in mancanza di pubblicazione del provvedimento di ammissione sul profilo del committente, il termine per l’impugnazione decorre “dalla ricezione mediante posta elettronica del provvedimento di aggiudicazione definitiva, conclusivo del procedimento”, così però vanificando del tutto l’innovazione legislativa, che ha proprio lo scopo di evitare che, insieme ai vizi dell’aggiudicazione, vengano dedotti anche quelli relativi ad ammissioni ed esclusioni.

Dall’altro, si noti TAR Campania – Napoli, n. 696/2017, che invece ha affermato come sia irricevibile un ricorso in cui si deducano insieme motivi avverso l’aggiudicazione e avverso l’ammissione alla gara. E tuttavia la medesima pronuncia afferma la natura ordinatoria del termine di due giorni previsto dall’art. 29 per la pubblicazione del provvedimento che determina le ammissioni e le esclusioni, così rendendo praticamente assai concreta la possibilità che si giunga all’aggiudicazione senza che la stazione appaltante abbia pubblicato tale provvedimento sul proprio profilo, e così precludendo a chi fosse interessato la possibilità di impugnare congiuntamente aggiudicazione e ammissione.

Si segnala infine TAR Sardegna n. 36/2017, che ha ritenuto tempestivo un ricorso proposto nei trenta giorni dalla comunicazione dell’ammissione dell’altro concorrente alla gara (data coincidente con la pubblicazione sul profilo del committente), anche se un delegato dell’impresa ricorrente aveva appreso dell’ammissione dell’altro nel corso di una seduta pubblica della commissione, svoltasi antecedentemente. Secondo il TAR, infatti, “non appare concepibile anticipare il dies a quo del termine d’impugnazione a un momento (quello della riunione della Commissione) in cui l’impresa interessata non poteva essere considerata già in grado di avere piena contezza della “decisione finale”, e dei motivi che la sorreggono, assunta dalla stazione appaltante” (in termini cfr. anche TAR Lazio – Roma, n. 878/2017).

Anche su questo punto, tuttavia, si fa presente che non vi è univocità di vedute in giurisprudenza, dal momento che alcuni TAR affermano l’idoneità della presenza di un delegato dell’impresa ai fini della piena conoscibilità dell’ammissione degli altri candidati (es. TAR Puglia – Bari, n. 1262/2016, che richiama l’orientamento anche del Consiglio di Stato formatosi in materia di esclusione, che “deve ritenersi utilizzabile, nel nuovo codice, anche per i provvedimenti di ammissione (equiparati, nella loro portata lesiva, ai provvedimenti di esclusione), di talché, laddove sia ravvisabile la piena conoscenza dell’atto di ammissione da parte dei rappresentanti della ditta controinteressata, presenti alla seduta pubblica e muniti di apposito mandato, è da tale seduta che decorre il termine per impugnare l’atto”).

Nelle molte incertezze descritte, e anche in considerazione del fatto che la citata bozza di decreto correttivo non contiene alcuna modifica dell’art. 204 e dunque del nuovo regime processuale, non resta che navigare a vista, con tutte le cautele del caso, in attesa di un assestamento della giurisprudenza.

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