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Modello organizzativo 231 e appalti

a cura dell’avvocato Lucio Lacerenza.

Sotto la spinta degli episodi di malaffare dell’ultimo anno nel settore degli appalti, è di attualità il tema dell’adozione del modello di organizzazione e gestione ex d.lgs. 231/2001 da parte di persone giuridiche, società e associazioni anche prive di personalità giuridica.

Come noto, il decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle societa’ e delle associazioni anche prive di personalita’ giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300” prevede a carico di detti soggetti una responsabilità amministrativa, nei fatti analoga a quella penale, che si aggiunge alla responsabilità penale della persona fisica che ha materialmente commesso un reato nell’interesse o a vantaggio dei soggetti medesimi. L’art. 6, comma 1, lett. a) del d.lgs. 231/2001 prevede, tuttavia, che il soggetto non risponde del reato se “ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi”.

La necessità di garantire la bontà e l’affidabilità dei soggetti che contrattano con la pubblica amministrazione è stata oggetto di due interventi nel corso del 2016, rispettivamente da parte dell’Anac prima, e successivamente dal Governo.

Quanto al primo, l’Autorità ha adottato le Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali” (delibera 20 gennaio 2016, n. 32) secondo le quali gli enti no-profit devono dotarsi di un modello di organizzazione ai sensi del d.lgs. 231/2001 e procedere alla nomina di un organismo deputato alla vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza del modello e all’aggiornamento dello stesso. Le stazioni appaltanti dovranno, dal loro canto, verificare l’osservanza da parte di detti enti delle disposizioni di cui al d.lgs. 231/2001.

A questo primo intervento con portata limitata agli enti no-profit è seguito il recepimento nel nostro ordinamento delle c.d. “direttive appalti” che ha condotto al varo del nuovo Codice degli appalti (decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), il quale con un profilo più generale ha disciplinato in più parti il “modello 231” a prescindere dalla natura del soggetto concorrente e dell’oggetto dell’appalto.

L’art. 80 comma 7, infatti, prevede che l’operatore economico o il subappaltatore che versi in una delle cause di esclusione previste al comma 1 dello stesso articolo (condanna per reati di particolare gravità, alcuni dei quali tipici del settore degli appalti come la turbata libertà degli incanti, art. 353 cp, oppure la corruzione, art. 319 cp), se la sentenza definitiva abbia imposto una pena detentiva non superiore a 18 mesi ovvero abbia riconosciuto l’attenuante della collaborazione, “è ammesso a provare di aver risarcito o di essersi impegnato a risarcire qualunque danno causato dal reato o dall’illecito e di aver adottato provvedimenti concreti di carattere tecnico, organizzativo e relativi al personale idonei a prevenire ulteriori reati o illeciti”. La stazione appaltante è, quindi, chiamata a valutare la sufficienza di dette misure, ed in caso positivo l’operatore non è escluso dalla procedura (art 80 comma 8). Analoga causa esimente opera anche per le cause di esclusione relative all’affidabilità professionale del concorrente o del subappaltatore (art. 80 comma 5).

Pur non menzionando espressamente il rinvio al d.lgs. 231/2001, pare evidente il riferimento contenuto nel comma 7 al “modello 231” laddove si parla dell’adozione di provvedimenti tecnico-organizzativi idonei a prevenire la commissione di reati.

Non solo. L’adozione del modello organizzativo è disciplinata anche con riguardo al rating d’impresa che sarà istituito presso Anac ai sensi dell’art. 83 comma 10 del Codice. L’Anac, chiamata a dare attuazione alla citata norma mediante apposite linee guida, nel documento di consultazione “Criteri reputazionali per la qualificazione delle imprese” dello scorso giugno ha specificato che ai fini dell’attribuzione del rating d’impresa concorrono una serie elementi, tra i quali proprio gli “adempimenti ex legge n. 231/2001” dei quali ne viene evidenziato il carattere virtuoso per le imprese. Del resto l’adozione del “modello 231” è rilevante anche ai fini del conseguimento del rating di legalità dell’impresa – rilasciato dall’Antitrust ai sensi dell’art. 5-ter del d.l. 2/2012 – che rappresenta un altro elemento necessario per il conseguimento del rating d’impresa.

Il “modello 231”, infine, è indirettamente richiamato dal Codice a proposito dei criteri di aggiudicazione degli appalti, laddove prevede il citato rating di legalità tra i criteri di valutazione dell’offerta (art. 95 comma 13). Sul punto, tuttavia, sia consentita qualche riserva in considerazione del fatto che detto rating attiene più propriamente alla qualificazione dell’impresa (come si evince dal sistema reputazionale ex art. 83 comma 10), e non già alla diversa fase della valutazione dell’offerta tecnica proposta dall’operatore.
Allo stato attuale della legislazione l’adozione del “modello 231”, oltre a “mettere in sicurezza” l’impresa, rappresenta, pertanto, un elemento determinante ai fini della partecipazione agli appalti e per una migliore valutazione dei progetti.

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