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Il revirement del Consiglio di Stato sulle dichiarazioni del socio di maggioranza persona giuridica

a cura dell’avvocato Stefano Cassamagnaghi.

Con la sentenza n. 2813/2016 della sez. V, il Consiglio di Stato è tornato nuovamente a pronunciarsi sul dibattuto tema delle dichiarazioni rese dal socio di maggioranza ai sensi dell’(ormai fu) art. 38 del previgente codice dei contratti pubblici, ponendosi in contrasto con un orientamento che poteva definirsi praticamente consolidato.

Ed infatti, secondo i giudici di Palazzo Spada, “non è ragionevole ed anche priva di razionale giustificazione la limitazione della verifica sui reati ex art. 38 del D.Lgs. n. 163 del 2006 solo con riguardo al socio unico persona fisica o al socio di maggioranza persona fisica per le società con meno di quattro soci, atteso che la garanzia di moralità del concorrente che partecipa a un appalto pubblico non può limitarsi al socio persona fisica, ma deve interessare anche il socio persona giuridica per il quale il controllo ha più ragione di essere, trattandosi di società collegate in cui potrebbero annidarsi fenomeni di irregolarità elusive degli obiettivi di trasparenza perseguiti”.

Il caso di specie riguardava l’esclusione da una gara attinente al servizio di raccolta rifiuti, motivata in ragione della sussistenza di condanne rilevanti per la moralità professionale in capo all’amministratore delegato della società socia di maggioranza dell’impresa concorrente.

In primo grado, il TAR Puglia – Bari, n. 1287/2013 aveva respinto il ricorso della società esclusa, confermando la legittimità della decisione della stazione appaltante, dal momento che l’art. 38 del codice appalti impone la verifica dei requisiti generali anche in capo al socio di maggioranza persona giuridica (e non solo, dunque, persona fisica).

Il Consiglio di Stato conferma tale interpretazione dell’art. 38, valorizzando una serie di elementi.

Anzitutto, viene richiamato lo spirito su cui è improntato il codice degli appalti – “assicurare legalità e trasparenza nei procedimenti degli appalti pubblici” – e dunque l’esigenza che sia garantita l’integrità morale del concorrente, a prescindere dal fatto che si tratti di persona fisica o giuridica.

In secondo luogo, il Consiglio di Stato fa appello al principio della par condicio, dal momento che “una società concorrente con socio unico o socio di maggioranza che sia persona fisica sarebbe soggetto alla dichiarazione e non invece un concorrente che sia persona giuridica”.

Ancora, viene sottolineato il dato letterale dell’art. 38, che contiene la specificazione “persona fisica” solo per la figura del socio unico, nulla specificando invece in relazione al socio di maggioranza. Questo, secondo il Consiglio di Stato, deporrebbe a favore della tesi secondo cui, in tale caso, il legislatore non abbia voluto distinguere il socio persona fisica da quello persona giuridica, in ragione di un “approccio sostanzialistico” che “attribuisce rilievo ai requisiti di moralità di tutti i soggetti che condizionano la volontà degli operatori che stipulano contratti con la pubblica amministrazione, a prescindere dalla circostanza che siano persone fisiche o giuridiche, in ossequio ai principi di lealtà, correttezza, trasparenza e buona amministrazione”.

In quarto luogo, si richiama l’argomento antielusivo utilizzato dal TAR in primo grado, poiché l’interpretazione che restringe l’onere della dichiarazione al solo socio persona fisica rischierebbe di favorire l’elusione della disciplina posta dal codice degli appalti.

Infine, il Consiglio di Stato valorizza quanto previsto dall’art. 45 della Direttiva 2004/18/CE, che “impone di effettuare il controllo ne confronti di ogni soggetto che, nella sostanza, ‘eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell’offerente’”.

Come accennato, tale sentenza si pone in contrapposizione con un consolidato orientamento, che aveva invece valorizzato, da un lato, il dato testuale del riferimento espresso nell’art. 38 al “socio unico persona fisica”, estendendolo anche al socio di maggioranza in ragione dell’eadem ratio sottesa alle due fattispecie; dall’altro, il correlato e conseguente argomento logico per cui sarebbe irragionevole estendere l’obbligo delle dichiarazioni al caso del socio di maggioranza persona giuridica quando la norma, per il caso di socio unico, lo richiede per la sola persona fisica (così TAR Campania – Salerno, n. 1029/2016; v. inoltre TAR Friuli Venezia Giulia, n. 345/2016; CGA Regione Siciliana, n. 179/2016; Cons. Stato, n. 303/2015).

Tale orientamento, d’altra parte, trova origine nella genesi stessa della norma, allorché l’espressione “socio unico” contenuta nel D.L. n. 70/2011 era stata poi precisata in sede di conversione specificando che trattavasi di “socio unico persona fisica” (L. n. 106/2011).

Il revirement del Consiglio di Stato pone, dunque, un’ulteriore situazione di incertezza nell’ambito delle dichiarazioni sui requisiti di moralità professionale, e cioè proprio nella materia che fornisce tradizionalmente maggior materiale al contenzioso. Peraltro, sotto questo profilo, non aiuta certo la formulazione del nuovo articolo 80 del D. Lgs. 50/2016 che ha replicato, su punto, la precedente formulazione dell’art. 38.

Si auspica che sul punto, come su altri profili dell’articolo 80, intervenga al più presto l’ANAC con chiarimenti che possano condurre ad un’applicazione uniforme della norma a beneficio della certezza di comportamento delle stazioni appaltanti e degli operatori economici.

Nel frattempo. la comminatoria di esclusione per l’omessa dichiarazione relativa al socio persona giuridica pare una sanzione sproporzionata ed in contrasto con la tutela della buona fede e del legittimo affidamento del concorrente che, in un panorama giurisprudenziale contraddittorio ed in assenza di chiare indicazioni della lex specialis, dovrebbe quantomeno poter beneficiare dell’istituto del soccorso istruttorio. D’altra parte, una simile interpretazione di favore del concorrente in buona fede è già stata applicata più volte dal Consiglio di Stato in situazioni analoghe al fine di tutelare gli operatori economici prima della composizione del contrasto giurisprudenziale fornito dall’Adunanza Plenaria (ad esempio, in materia di procuratori, oneri di sicurezza, ecc.) o dalla Corte di Giustizia.

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